“Una foto, un’istantanea rubata quest’estate, a Basilea, mentre pedalavo da Brembate ad Amsterdam: è l’immagine che scelgo per raccontare quello che mi è passato per la testa in questi mesi”
“Tre immigrati, anziani, obesi, seduti insieme a non fare nulla, a parlare della vita, ma con un portamento, una dignità, un senso di umanità... il valore fondamentale, la dignità umana, che spesso manca nelle immagini, nelle copertine, nelle vetrine del sistema dei mass media, della moda, del benessere e dei social media”.
“Quarant'anni fa, la bici significava fatica, sudore, umiltà. Era un mezzo e uno sport proletario. Oggi, la bici significa libertà, divertimento, uno stile di vita evoluto”.
"Oggi la bici è usata da tutti, ha un target trasversale e prezzi da moto, a volte da utilitaria. Più che un mezzo di trasporto, è il segno del nuovo lusso: che è tempo libero, benessere, forma fisica".
“Il boom della bicicletta ha molti aspetti. Sociali, culturali, politici. Mobilità urbana, tempo libero, ecologia, salute, turismo, moda. Molte opportunità e molte contraddizioni”.
“Il governo, le regioni, i comuni, le associazioni di categoria, le lobby, i mass media in coro dicono: concentriamoci sulla bici. Ma non sanno bene di cosa stanno parlando”
Già due anni fa, uno studio del Sole24ore presentato al Bike Festival di Rimini parlava della bici come nuova apripista del Made in Italy. Dopo moda, design ed enogastronomia, è il momento della bici in Italia.
A questo punto, anche nell'abbigliamento tecnico, entrano in gioco fattori di moda e immagine. Con tutti gli aspetti, positivi e negativi, che conosciamo. Prevalenza dei bisogni psicologici e sociali su quelli primari e reali. Narcisismo, ostentazione di status.
Gli esperti parlano di elitarismo ostentato e obsolescenza programmata. Tradotto: ciò che è irresistibilmente innovativo quest'anno sarà irrimediabilmente obsoleto l'anno prossimo. Roba che invecchia nell'aspetto prima che nella sostanza.
“E così nascono i produttori mordi e fuggi, che non si curano della qualità vera e duratura, ma competono per seguire la scia del look vincente. E noi italiani siamo gli specialisti del travestimento, dell'apparire, della recitazione...”
“Il fatto è che ormai anche nel nostro settore si ha un’immagine, si proietta un’immagine, spontanea o controllata o generata dal mercato stesso, e questa immagine incarna valori, modelli, scelte”.
La nostra immagine è sempre stata selvaggia, naturale, antica. Noi realizziamo i prodotti, le squadre corrono le gare, i corridori le vincono. La foto con le braccia alzate al traguardo fa il giro del mondo. L'immagine vincente è tutta qui.
“Dato che i migliori ciclisti sono super-atleti, super-snelli, rappresentano al massimo grado l'ideale estetico unisex del mondo odierno: un corpo snello, un fascio di nervi d'acciaio, senza un grammo di grasso”.
Ecco cosa succede: la tua immagine naturale di pilota viene distorta e ri-significata dal mercato come un lusso, un'immagine narcisistica e alla moda. Così chi produce divise da gara hi-tech, volente o nolente, diventa l'avanguardia del mainstream, sempre alla ricerca di nuove versioni, nuove mitologie dei valori dell'élite: bellezza, ambiente esclusivo, arroganza.
“Questo nuovo posizionamento di immagine, esibizionismo, status sociale e tecnologia vuole togliere il sudore, la povertà, l’ignoranza alla bicicletta, far dimenticare alle persone le proprie origini, le proprie radici, i propri nonni operai e contadini”.
Tutto questo non ci fa bene. Ci vedono come creatori, punti di riferimento, leader dell'immagine, ma in realtà siamo noi le prime vittime della società dell'immagine. Perché non siamo nati per vendere immagini o rubare valori.
“Queste sono le domande, le cose di cui parliamo. C'è una questione estetica e una questione di valori, che si intrecciano come un tessuto. Quali valori ho? Cosa esprimo indossando questa giacca? Cosa dicono i miei occhi? Voglio dominio o dignità? Potere o umanità? Voglio essere padrone del mondo o di me stesso?”
“Mi piace credere che la bicicletta sia ciò che è sempre stata, un mezzo di autenticità, non di ostentazione, che dà un’immagine di dignità, di bellezza dell’anima, non di narcisismo”.
Siamo un Paese che vende sogni, made in Italy, va bene, ma poi cerchiamo grandi sognatori, capaci di sognare davvero e di vivere davvero, perché le due cose vanno di pari passo. Un grande sognatore non è un solitario con la testa tra le nuvole, quello è un piccolo sognatore e rimarrà tale. Un grande sognatore è qualcuno che vuole condividere, promuovere un sogno collettivo e realizzarlo.
Quindi, quello che sogno è diffondere, riconoscere il valore e l'immagine della dignità, dell'autenticità, della diversità umana, persino della fragilità, dell'imperfezione. Chi non ha un problema? Persino un semidio come Achille aveva un problema, nel tallone.
“Voglio che il mio marchio, il mio prodotto da corsa, non venga scelto per apparire, per sembrare un semidio come i top rider, ma al contrario, per le stesse vere ragioni per cui viene scelto dai team, per la sostanza, la funzione, perché nella vita, come nelle corse, ci vuole la vera qualità, quando piove, quando soffia il vento, è allora che capisci il significato, la differenza, non quando ti metti in posa in modo trendy per un selfie da sfilata social”.
Ma ci sono mille cose di cui parlare una volta che si comincia a porsi domande. Sì, la mobilità, la qualità della vita quotidiana, le bici rubate, le piste ciclabili interrotte, pericolose e ridicole. Ma consideriamo prospettive più ampie. La bicicletta è un veicolo per questioni globali. C'è un problema di convivenza, di senso civico, di sicurezza, di impatto ambientale. C'è un mondo da cambiare.
“C'è chi dice di no, non mi interessa, in bici mi distraggo, vivo in una favola per qualche ora. Ma se allarghi lo sguardo, se osservi la realtà, come cambia il mondo, scopri che la bici può essere molto più di una semplice via di fuga. Può regalarti molte altre cose, oltre al relax”.
Poi c'è la donna, che non è un tema, ma un mondo. Anzi, il mondo. Se il mondo deve essere cambiato, se deve essere creato un mondo nuovo, abbiamo bisogno di donne che finalmente... Magari ne parleremo la prossima volta.