Di Sophie
Ciao zio, sarò sincero, pedalavo con quell'eccitazione mista a paura e piacere su quella striscia di terra sempre più stretta tra il fiume e il canale quando i tuoi 7 messaggi vocali in rapida successione sono entrati nelle mie cuffie e dall'adrenalina ho quasi preso il volo copyright Rosti e in ogni caso la mia risposta è sì, iniziamo subito.

Preliminari diretti e veloci, con una citazione di Mourinho riproposta al Rosti Bar: “Chi parla solo di ciclismo non capisce niente di ciclismo” e due carezze/schiaffo di giornalismo pre-digitale di B. Pizzul: “Bisogna dire quello che si prova quando accade l'evento” “Perché le emozioni non si possono preparare”

Parlando liberamente e senza freni del fenomeno bici a ogni livello, quello che vedo pedalando in montagna, in città, su strada, nei boschi, ma anche seguendo il Giro, il Tour, le classiche, il ciclocross, il triathlon, la MTB, è che tutto converge in un unico impulso che si manifesta in mille modi ma è uguale per ogni ciclista: ed è un impulso di libertà, irrefrenabile. Partirei da qui, dal senso di libertà, per dire dal mondo Rosti.

Sapete quando Mel Gibson muore nel finale di Brave-Heart urlando “libertà”, beh, non per fare il saputello, ma forse non tutti sanno che la parola “slogan” deriva da lì, dall’antico gaelico delle highlands scozzesi: lo sloagh-ahnn è il fragore del tuono, il grido del cielo, il grido di libertà lanciato dai guerrieri morti che diventa grido di battaglia e trasforma la moltitudine amorfa in una massa compatta, capite, stiamo parlando di qualcosa di molto potente, l’arma base della pubblicità.

Ho fatto una rapida ricerca sugli slogan, i pay-off e i titoli dei concorrenti nel settore dell'abbigliamento per il ciclismo. È tutto un rosario di "passione" e "made in Italy", nessuna dichiarazione di identità inconfondibile ma soprattutto nessun accenno a valori, bisogni o emozioni legate a chi va in bici.

Eppure sulla fronte di ogni ciclista vedo scritto "Libertà che voglio cercare", compresi quelli che parlano solo di rapporti, watt e altimetria, e che sembrano freddi monomaniaci, senza pensieri né emozioni. In realtà, a guardarli con attenzione, sono guerrieri di stampo antico, pronti a tutto.

Anche quei soggetti iper-vanitosi che potrebbero pubblicizzare qualsiasi cosa, con il look sempre perfetto, casualmente street style o rigorosamente vintage. Poi impari a conoscerli e rivelano un rigore etico, non solo estetico, d'altri tempi, e si dimostrano capaci di una fedeltà assoluta a scelte difficili e controcorrente.

Non importa quanti soldi hai, che bici hai, se fai sport o consegne pizze. Affronta le domande e i problemi della vita mentre affronti le salite, metro dopo metro, minuto dopo minuto, senza mai arrenderti. Questo ci rende fratelli.

Andare in bici significa essere disposti a impegnarsi. Rinunciare all'etichetta di popolo pieno, viziato e pigro. Non solo. La verità è che molti hanno capito qualcosa di importante che chi lavora nel settore non ha ancora pienamente compreso.

La bici non è solo svago, sport, tempo libero, turismo, moda e mobilità. La bici è ciò che finalmente ti permette di parlare con te stesso. La bici è la migliore psicoterapia sul mercato. Più faticosa, più efficace e anche più appagante.

Mentre aspettavo che lo slogan giusto scendesse dal cielo durante un temporale, ho provato a consultare un altro tipo di guerriero, ho ripassato i titoli di 3000 romanzi e ne ho annotati due: “Abitare il vento” e “Chiedi alla polvere”.

Va bene, vengo a fare un giro al maglificio, lo slogan con il perfetto senso di Rosti per il ciclismo, se esiste, è sicuramente lì.