a prima pelle

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GIALLO ROSTI – Il Tour di Sophie

15 luglio, Roubaix

Due ore dopo l’arrivo del Tour a Roubaix, a 3000 km di distanza, in Russia, con i gol di Griezman, Pogba e Mbappe, noi francesi siamo campioni del mondo. Ho visto la partita con mente distaccata. La Croazia ha giocato meglio. L’ho detto all’Inq. che mi ha telefonato per complimentarsi. Lapidario il suo commento: «Non ha vinto il migliore, ma il più forte». Come nella vita. Come nel ciclismo.

Torniamo a Roubaix, la tappa del ciclismo d’altri tempi, con tutti questi tratti sul pavé...

Strade strette, lastricate, polverose, sulle quali è scritta la storia del ciclismo. Il pavé in Francia è considerato monumento nazionale, e come tale periodicamente restaurato con cura e amore, numerando ogni singola pietra. Un lavoro certosino, lento, paziente. Ma quando si corre la Parigi-Roubaix, o il Tour, è una escalation di forature, cadute, rotture. Il pavé mette a dura prova il binomio uomo-bicicletta, La meccanica delle emozioni si prende le rivincita sulla prestazione programmata. All’uscita dai tratti di pavé, le vere insidie, quando le ruote riprendono l’asfalto: dovrebbero riprendere mordente, e invece vanno in tilt. 

Porter deve ritirarsi per una brutta caduta, ma anche Dumoulin, Mikel Landa e Uran si sdraiano a baciare il pavé. E pure il mio Bardet è nei guai, non so quante volte deve fermarsi, ma ogni volta riparte. A 50km dall’arrivo ha 50’’ di ritardo.

Sul finale, sul pavé de la Justice, la maglia gialla Van Avermaet scatta avanti con due compagni d’avventura, e alla fine guadagna 30’’ su tutti i rivali, e quasi 2 minuti su Uran, ma deve cedere lo sprint e la vittoria di tappa al tedesco Degenkolb che sul podio dedica la vittoria all’amico morto in un incidente. C’è vero pathos in quel volto distrutto e segnato da lacrime e fango. Sono momenti di gloria. L’amore tra me e il Tour sta rinascendo. 

16 Luglio, riposo (!)

Oggi giornata di riposo per gli uomini del Tour, non per me. Ho pedalato dalla mattina alla sera, seguendo il corso del Brembo, alla scoperta dell’humus, del “genius loci” di questo territorio, giusto per capire se la “lucida follia” di persone e imprese come l’Inquietante e il maglificio Rosti siano fattori isolati o caratteri endemici.

Userò il metodo della geografia umana, con qualche concessione alla geografia storica. Mi interessa disegnare una mappa con le aziende/imprese più rilevanti, i grandi personaggi storici, i luoghi “speciali” e i campioni della bici.

L’Inq. mi ha dato alcune dritte sui percorsi ciclabili, completi e molto curati dalla parte dell’Adda, mentre sul versante Brembo mi spiega che “devo arrangiarmi” nel tratto a valle, tra sterrati, carrarecce e passerelle di corda, poi a Zogno inizia il percorso “spettacolo”, ricavato sul sedime di una ex ferrovia che corre panoramica a mezza costa, tra strette gallerie, pinete e vecchi ponti di pietra.

Il mio “risalire” il fiume inizia pochi chilometri a sud della confluenza con l’Adda. 

In mezzo ai campi un capannone di un colore inconfondibile, verde-acqua. La più antica fabbrica di biciclette tuttora esistente, dal 1885, la bici da corsa per antonomasia, conosciuta in tutto il mondo. Penso a mio nonno, che ne tiene una degli anni settanta appesa come un quadro in salotto, e con orgoglio dice ai suoi ospiti: «Si, è una Bianchi». 

Poco lontano dalla Bianchi (che, scopro, faceva anche motociclette e automobili, le piccole e famose Autobianchi), ecco un’altra fabbrica storica di veicoli contadini, i trattori Same, brutti, tozzi, arancioni, con quel seggiolino di lamiera forata, diventato uno sgabello che è un’icona del design made in Italy. Same e Bianchi, trattori e biciclette, un binomio che fa molto Tour. 

Risalendo il fiume, incontrerò altri tre grandi brand internazionali, che già nel nome, prima di tutto, sono marchi di territorio: i tubi Dalmine, i freni Brembo e l’acqua Sanpellegrino (osannata in tutto il mondo, e però permettetemi di dire che la nostra Perrier è un’altra cosa). 

Ma il mio vero interesse è per una fabbrica che oggi non c’è più, la Caproni Aeronautica Bergamasca, con sede e campo d’aviazione a Brembate Sopra, dove spero di trovare tracce per risalire all’identità di mio padre.

Tutto quello che so di mio padre è che faceva il bagnino a Saint Tropez l’estate in cui sono stata concepita. Da una cartolina trovata nella scatola dei ricordi di una vicina a Marsiglia, ho appreso che si chiama Vittorio e che era “molto giovane” l’estate in cui incontrò mia madre (che invece era prossima ai 40 anni). Era nato in Francia da un “già anziano camerata italiano”, Cesare, che aveva lavorato per l’appunto alla Caproni, a Brembate di Sopra.  

Fino al 1945 la Caproni produceva aerei da guerra, specialmente idrovolanti, e anche molto strani. La dirigeva un ingegnere molto creativo, Cesare Pallavicino. Cesare? Che sia lui mio nonno? Impossibile: mi basta Wikipedia per scoprire che dopo la guerra, chiusa la Caproni, il Pallavicini non finì in una casa popolare a Marsiglia, ma restò in Italia, dove progettò la Lambretta (negli stessi anni il suo collega D’Ascanio, anch’egli ingegnere aeronautico creativo, progettava la Vespa. Questo D’’Ascanio, già primo inventore dell’elicottero – la vecchia idea di Leonardo da Vinci -  per la Caproni progettava le eliche).

A dire la verità, sono più spaventata che eccitata. Ma ormai ci sono dentro. Sono qui per questo. Domani ho una serie di appuntamenti a Bergamo in archivi storici e centri studi. Spero di trovare elenchi, nomi e cognomi, per dare un cognome a mio nonno, e quindi a mio padre, e a pensarci bene anche a me stessa. Aiuto! 

17 - 18 Luglio

Martedì. Oggi inizia il Tour delle Alpi. Poi ci sarà il Massiccio Centrale, poi il Tour dei Pirenei. 

A 100 km davanti sono in 20, tra loro la maglia gialla. Arrivano a un vantaggio massimo di 7 minuti, che si riduce progressivamente. Vince Alaphilippe in solitaria, molto pimpante. Van Avermaet, che tutti pensavano crollasse, guadagna 2 minuti su tutti gli aspiranti alla maglia gialla. Invece cambiano indossatore la maglia a pois degli scalatori, conquistata dal vincitore di tappa Alaphilippe, e la maglia bianca dei giovani, ora sulle spalle del nostro Latour della AG2R. Il mio Bardet tiene bene, nonostante la squadra sia ormai ridotta a 6 unità.

Stamattina l’Inq. è partito in comitiva con tutto lo staff del maglificio per andare a vedere le tappe alpine. Con mio grande rammarico, ho dovuto rinunciare alla “gita oltralpe”. Troppo importanti per me gli appuntamenti negli archivi storici di Bergamo in cerca di informazioni sulla Caproni. E poi domani ho ben due esami in Università a Milano, concordati con la mia facoltà. 

Le visite negli archivi sono una delusione. La speranza di trovare una bella lista di nomi e cognomi dei lavoratori della Caproni si infrange subito. Dovrò fare un lavoro da talpa di biblioteca, alla vecchia maniera, tirando fuori vecchi faldoni, e incrociando i dati. Anagrafe del comune di Brembate, registri della parrocchia, della questura e per finire i microfilm dei giornali dell’epoca. Tutto in cerca di un Cesare, probabilmente fascista, che lavorava alla Caproni e alla fine della guerra, quando i fascisti venivano ammazzati per strada, fuggì in Francia (o forse prima in Svizzera).

Mercoledì. Tappa dominata dalla squadra Sky, con Thomas che sul finale scatta imperioso, supera il fuggitivo Nieve all’ultimo chilometro, vince in solitaria ed è la nuova maglia gialla. Van Avermaet crolla con 20 minuti di ritardo. Anche Uran esce di classifica. Tutti gli altri big sono lì, da Nibali a Bardet. 

Ho passato tutta la giornata a Milano, facoltà di lettere e filosofia. Alle 9 di mattina, esame su Camus e il mito di Sisifo. Finisco dicendo: «Come Sisifo, passiamo la vita spingendo ogni giorno un pesante macigno su per un ripido declivio, e ogni sera, giunti in vetta, il macigno rotola a valle. E noi, il giorno dopo, ricominceremo a spingerlo sulla montagna. In questa vita quotidianamente assurda, c’è una sola questione filosofica realmente seria: quella del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, ecco il quesito fondamentale della filosofia». 

Professore: «E vale la pena?» 

Rispondo: «Si. Quando ogni mattina decidiamo di riprendere il nostro macigno, facciamo una scelta. In quel momento, godiamo di un bene che giustifica tutto il resto. La libertà». 

Professore colpito al cuore, 30 e lode. Alle 11 dovrei avere l’esame su Celine, ma il titolare della cattedra si esibisce nello spettacolo che più odio, il disprezzo verso gli studenti, facendoci prima aspettare due ore, per poi dirci di tornare alle 18. Alle 18 non si fa vedere, e alle 19 arriva un assistente che ci rimanda a settimana prossima. Cose da pazzi. 

19 Luglio, Alpe d’Huez

Stamattina nuove escursioni territoriali sul Brembo. Tema: i luoghi speciali e i campioni della bici. Del villaggio operaio sito unesco di Crespi d’Adda ho scritto nei primi giorni, in occasione della Trambai-Rosti. Adiacente a Crespi, separato da un boschetto, c’è Leolandia, già Minitalia, con l’Italia distesa in mezzo a un laghetto, e i più importanti monumenti ricostruiti come case di bambole. Più avanti, verso Bergamo, a Valbrembo, in riva al fiume c’è il campo d’aviazione per il volo a vela in aliante. Alla fine del prato, dentro un grande bosco, il parco faunistico Le Cornelle, praticamente uno zoo nel verde. Risalendo l’argine, sei a Brembate Sopra, dove un tempo c’era la Caproni, e oggi c’è il parco astronomico della Torre del Sole, per guardare le stelle. Alla fine arrivi a San Pellegrino e ti lasci cadere nelle grandi terme, tra i piaceri dal calidarium-frigidarium, come gli antichi romani. Lezione di storia della lingua: SPA è un acronimo latino, Salus Per Aqua, cioè salute e benessere grazie all’acqua (che in latino si scrive senza la c). 

Conclusione: lungo questo fiume, c’è una concentrazione mai vista di “posti speciali”, giocosi, fantastici, fuori dal tempo, per bambini e adulti. Chi ha detto che questi bergamaschi sanno solo lavorare?

Pomeriggio. Guardo l’Alpe d’Huez, tappa mitica, che ha fatto la storia del Tour. Chiamata la montagna degli olandesi, e infatti in testa vola l’olandese Kruijswijk e a 50 km ha 6 minuti sul plotone. Questo olandese in fuga solitaria (e maglia gialla virtuale) pedala in sella a una Bianchi, e lo confermo, è davvero inconfondibile con quel suo storico color verde acqua. 

Inizia la scalata dell’Alpe d’Huez. Kruijswijk ha ancora 3’30’’. 10 km all’impresa, con il plotone degli inseguitori ridotto a 10 unità. Ci sono Quintana, Landa, Roglic, Dumoulin, Bardet, c’è Thomas in giallo con il compagno-concorrente Froome e c’è Nibali, che fa prove di allungo per misurare i suoi concorrenti.  Ai 7 km Bardet s’invola agile sulle sue gambette da gazzella. Finalmente il mio Bardet protagonista. Concentratissimo, faccia d’angelo, la maglia Rosti aperta davanti, assediato dai tifosi in festa, continua a guadagnare. A 4km Kruijswijk è ripreso. Ora il tratto più duro. Thomas si mette al servizio di Froome che attacca il frullatore.

Poi accade il disastro. Nibali cade per colpa di uno spettatore che gli aggancia il manubrio con la tracolla della macchina fotografica. Siamo all’assurdo. Per iniziativa di Froome, i 4 davanti si fermano ad aspettare Nibali, e pedalano in formazione a barrage. Nibali rientra eroicamente, ma dovrà ritirarsi per la frattura di una vertebra (forse causata nell’impatto dalla radiolina sulla schiena... e siamo sempre nell’assurdo.) Brutta vicenda, brutta perdita. Nibali dava l’idea di essere in grande forma, pronto a lottare per vincere il Tour.

Sul traguardo vince Thomas su Dumoulin. Sul podio dichiara: «Non avevo nessuna possibilità di vincere oggi. Non riesco a credere a quello che ho fatto!».

Sul fronte AG2R, si combatte col coltello tra i denti. Bardet sta bene, oggi terzo sul traguardo, quinto in classifica a 3 minuti. Latour sempre maglia bianca, ma col ritiro di Gallopin i nostri sono rimasti solo in 5.

20 Luglio, a prima pelle 

Oggi tappa per velocisti, ma ormai molti velocisti si sono ritirati (specialmente quelli con la G: Gallopin, Greipel, Gaviria, Groenewegen). Vince la volata Sagan, alla terza vittoria. Domani Pirenei.

Il fatto curioso accade verso sera, al termine della mia escursione (tema: i campioni della Valle Brembana: Gotti da San Pellegrino, 2 Giri d’Italia; Pesenti da Zogno, 1 giro d’Italia e ovviamente Gimondi da Sedrina, 3 Giri d’Italia e 1 Tour de France).

A Sedrina trovo anche una chiesa assurdamente con la facciata rivolta a est. Entro e scopro un capolavoro del Lotto che potrebbe stare al Louvre. Ma non è questo il fatto curioso. Invece di rientrare a Bergamo, dove ho una stanza in un convitto/ospizio di suore, sentendomi bene, decido di prendere la statale e pedalare veloce verso il maglificio per vedere se la tribù è rientrata dalla Francia. Non vedo l’ora di sentire le impressioni dell’Inq. sull’Alpe d’Huez. Con questi pensieri in testa, mi ritrovo in un posto che l’Inquietante in persona mi aveva proibito tassativamente di visitare, quando mi aveva dato “le dritte” sulle cose da vedere.

«Non devi nemmeno nominarlo» aveva detto, e mi era sembrato terribilmente serio.

«Perché non posso nemmeno nominarlo?» avevo chiesto. L’Inquietante mi aveva risposto con uno sguardo.

Ma io senza farlo apposta come Cappuccetto Rosso mi ero perduta nel bosco. E adesso davanti a me c’era l’insegna di un capannone che recitava “Santini Maglificio Sportivo”. 

Che cosa avrebbe fatto Cappuccetto Rosso al posto mio, vedendo una freccia con scritto “Spaccio-outlet”? 

Una volta nello show-room, capisco tutto. Trovo anche un libro-brochure con tutti i più grandi campioni degli ultimi 50 anni vestiti Santini. Lo divoro. Come le biciclette Bianchi, le maglie Santini hanno fatto la storia del ciclismo.

Come ha potuto l’Inquietante anche solo pensare di aprire un maglificio concorrente a poche pedalate di distanza? Intanto, al centro dello show-room Santini, mi rendo conto di essere taggata Rosti da capo a piedi. Assumo un atteggiamento di grande disinvoltura. 

Mezz’ora dopo, pedalando furiosamente, con la brochure Santini infilata nella maglia, rientro alla base Rosti a Brembate. Sono già le otto di sera, ma naturalmente l’Inq. è ancora sul pezzo, nella sua postazione nell’ufficio creativo. 

Gli arrivo alle spalle. Sta disegnando al computer una maglia in stile vintage, verdone e nera. Lo aggredisco subito, a raffica, senza dargli tregua. «Perché non mi hai detto che Santini è stato il primo a usare lycra e nylon?». «Il primo a fare maglie a colori». «Il primo a fare maglie con disegni fantasia». «Il primo a introdurre il fondello». «Il primo a usare i tessuti tecnici». Poi gli getto sul tavolo la brochure, e affondo il colpo di grazia: «Santini è il primo in tutto». 

Lui si limita a osservare la copertina che reca il marchio Santini e lo slogan. E pazientemente, come un bravo maestro con un’alunna non troppo sveglia, mi chiede : «Sophie, lo vedi cosa c’è scritto sotto Santini?» 

«Certo che lo vedo! C’è scritto: Santini, a second skin. Una seconda pelle» 

E lui: «Vedi che non è primo in tutto?». 

Sto per dirgli “bella battuta”, ma non faccio in tempo. 

Lui sghignazzando sta già dicendo: «A prima pelle c’é Rosti».

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