Molteni per noi

Molteni per noi
Cosa rappresenta la maglia Molteni per noi che eravamo bambini in quegli anni, per noi che abbiamo iniziato a correre sognando di indossarla da grandi, e anche per noi Rosti maglificio, che sul finire degli anni Settanta aprivamo il nostro piccolo laboratorio quando già la Molteni non esisteva più, è chiaro, lo si capisce, lo si intuisce, eppure non è facile dirlo: è la maglia dei nostri padri.
Un mondo che non c’è più, ma quello che c’è ancora è il nostro legame con i valori che quella maglia esprimeva, e che oggi, domani, ne siamo certi, anche se in uno scenario completamente diverso, torneranno a essere valori di riferimento. E non pensiamo soltanto al ciclismo, allo sport, ma proprio al modo di vivere la vita, di esser giovani e di diventare adulti, quel sentire, quel soffrire, quell’inquietudine, quella fame, quel desiderare e sognare qualcosa, quel provare a inseguire questo qualcosa con tutto te stesso, come quando ti metti alla ruota e non molli.
Oggi per noi proporre la maglia Molteni, la riedizione di questa icona, questo must, non è solo un’operazione immagine, non è solo una proposta vintage, ma qualcosa che sentiamo nel profondo, ogni giorno, un legame, un’identità, un’emozione, una storia che abbiamo dentro.
Qualche anno fa per una campagna pubblicitaria abbiamo utilizzato un’immagine di un corridore AG2R alla fine di una Roubaix durissima, una faccia da contadino d’altri tempi, ricoperta di fango, ma lo sguardo pulito, azzurro, e quei colori, terra e celeste, del fango e del cielo, dicevano tutto del nostro spirito, del nostro essere lavoratori e sognatori.
Allora non lo sapevamo, eravamo partiti dalle squadre del nostro territorio ed eravamo arrivati oltralpe a vestire i nostri cugini francesi, un lungo giro, come quello dei nostri nonni emigranti in Francia, al di là delle alpi, per ritrovare un giorno le nostre radici.
Il blu-camoscio Molteni è un colore dell’anima, è il sangue blu del mammifero più agile, solitario, che s’arrampica dove gli altri non osano, sulle creste più alte delle alpi, per nutrirsi di erba incontaminata, e panorami sconfinati. Quel camoscio siamo noi bergamaschi, testardi, introversi, ingovernabili, assetati di libertà, capaci di follie estreme, e un po’ così sono tutti i ciclisti, dalle Fiandre alle Alpi, ma oggi ovunque nel mondo, anche in Australia, in Africa. Anche i nuovi fratelli del ciclismo, delle nuove scuole, delle nuove generazioni, hanno bisogno di sapere, di sentire, di riconoscersi in questa storia, che è infine la storia del ciclismo, della magica metamorfosi della dura fatica in gioia indicibile, quella stessa del camoscio che arriva sulla cengia più alta, dove finalmente non esistono più limiti né barriere.
E quando arrivi lì, quando vivi quei momenti, capisci che tipo di animale hai dentro, selvatico, con questo carattere specifico, la capacità di sognare, si, proprio i grandi sogni, che sono di tutti, una vita migliore, un mondo migliore, e in questo sogno siamo tutti uguali, e la bici è strumento di questo sogno. Noi lo sappiamo, l’abbiamo vissuto da bambini.
La Molteni rappresenta il riscatto sociale dell’Italia negli anni del boom economico. Ragazzi che usavano la bici per andare al lavoro che realizzano il sogno di correre come professionisti. Cerato era il garzone di macelleria, Gianni Motta lavorava alla Motta, Dancelli era operaio della Pirelli, Boifava faceva il sarto. Tutti sotto le cure e le mani forti del massaggiatore Isaia, già insaccatore di salami.
Il giovane corridore Colnago che a causa di un infortunio inizia a montare ruote in garage, poi biciclette. Prova cose nuove, scopre che le forcelle piegate a freddo sono più elastiche. La sua filosofia: “L’esperienza l’è la mader de la scienza”. Un giorno per caso, sulle strade, incontra Magni in allenamento. Gli modifica le pedivelle, e a Magni passa il mal di schiena. Diventa l’uomo che crea le bici Molteni.
Gli altri top team erano tutti italiani, Faema, Salvarani, Ignis, Sanson. Salami, caffè, cucine, lavatrici, gelati. L’Italia non era più un paese contadino. Il ciclismo parlava italiano. Non solo le squadre, non solo i corridori. Anche le bici. Anche i migliori componenti. La bici che Colnago prepara nel 1972 per il record dell’ora di Merckx ha sella e manubrio Cinelli, cambio Campagnolo e catena Regina. Pesava 5 kg e 750 grammi.
Quando Ambrogio Molteni annuncia alla squadra che quella che sta per iniziare sarà l’ultima stagione, ai corridori dice: “Facciamo in modo che nessuno possa dimenticare la Molteni. Onorate fino alla fine questa maglia. Non dimenticate mai chi siamo e cosa rappresentiamo”.
Un certo Eddy Merckx oggi scrive: “La mia vittoria più bella di sempre? L’ultima Sanremo, nell’ultimo anno della Molteni”.
Per tutti questi motivi la maglia blu-camoscio è diventata un’icona del made in Italy, non solo del ciclismo. Semplice, pulita, un classico. Non è mai cambiata in quasi vent’anni di gare, tra il 1958 e il 1976. Oggi, dopo cinquant’anni, è ancora bella, forse ancora più bella.
Abbiamo iniziato a fare maglie per il ciclismo nel 1979, vestiamo centinaia di squadre, sappiamo bene cosa sia stata e cosa rappresenti ancora oggi la passione per questo sport di un’intera generazione, quella dei nostri padri. Gente che dedicava tutto il tempo libero a far crescere, far correre i ragazzi, per trasmettere i valori e la passione del ciclismo alle nuove generazioni.
Quando parliamo con Antonio Bevilacqua, anima della Colpack Ballan, o Gianni Savio, della Drone Hopper Androni, team che vestiamo da sempre, e ascoltiamo i loro racconti di quel mondo, quei valori, e vediamo il loro lavoro quotidiano per tenerli vivi, abbiamo davanti a noi l’esempio, la strada da seguire.
Alla base di tutto questo c’è il lavoro. Il valore del lavoro, è la cosa più importante. Se il lavoro non vale più niente, l’uomo non vale più niente. Lavoriamo per migliorare sempre, usiamo le tecnologie, i materiali più evoluti, ma alla fine e all’inizio c’è sempre il lavoro vero, di persone, di mani, di abilità, esperienza, dedizione, il lavoro di tagliare, cucire, confezionare a mano. La maglia dei nostri padri, cucita dalle nostre madri per permetterci di inseguire il sogno del camoscio, che non è un lusso.
Che il ciclismo sia uno sport popolare, interculturale, intergenerazionale, e la bici qualcosa che unisce, che ci rende simili, fratelli, è questo importante. Che in città e sulle strade la bici torni a essere quello che è, qualcosa che unisce, che rende umani, che i ragazzi possano correre senza rischiare la vita. Che a partire dalla rete negozi, officine e bike station rinasca l’arte degli assemblatori, l’artigianato dei fornitori di componenti. Che con gli automobilisti si trovi insieme la strada del rispetto. Tante cose, tanti desideri, tanta energia.
Nel libro di Stagi sulla storia della Molteni troviamo un’immagine della Sei Giorni di MiIano fine anni Sessanta: il giro d’onore dei vincitori, Motta e Post, seduti sul cofano di una Fiat 124 spider insieme a due bambini, Mario e Lalla Molteni, la quarta generazione.
Quei due bambini oggi hanno dato vita alla Fondazione Molteni, ente di beneficenza che sostiene ex ciclisti in momenti e situazioni di estremo bisogno come indigenza e invalidità. Una scelta forte, coraggiosa, in un momento nel quale è più facile parlare di ecologia e piantare alberi che occuparsi di anziani soli. Evidentemente, quell’ultimo discorso di Ambrogio Molteni alla squadra non è stato vano: “non dimenticate cosa rappresentiamo”. Così nasce un’icona. Non bastano le vittorie, non basta il design. Ci vogliono la passione, il coraggio, l’autenticità delle scelte.
Abbiamo incontrato la fondazione Molteni, ci siamo trovati a voler lavorare insieme su questo valore senza prezzo, che riguarda tutti noi amanti della bici, questo bisogno di sapere, capire e spiegare “chi siamo e cosa rappresentiamo”.
La creatività viene sempre dalla fame, non dalla noia, è la pancia vuota che scatena il desiderio e la fantasia, non la pancia piena, è così in tutto. Ecco cosa è la maglia Molteni per noi.
Perciò questo amore per la maglia dei nostri padri.
Perciò questa riedizione ricamata a catenella, 100% lana finita e cucita, smacchinata e rimagliata, e i bottoni in madreperla.
Perché siamo una grande famiglia, noi che amiamo la bici, e nella maglia dei nostri padri, nella trama, nell'ordito, c'è non solo la nostra storia, le origini, ma anche la nostra fibra, il nostro carattere.
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