seconda settimana

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GIRO D'ITALIA 2019 - by Sophie

Seconda settimana, il Giro è sempre più rosa, e mi piace sempre di più.

La coppia in fuga, la coppia dei rivali, la coppia capitano e gregario.

«Il Giro in realtà parla d’amore, e di relazioni di coppia».

«L’amato e l’amante, chi fugge e chi insegue».

Ok, ricomincio da capo, e con ordine. 

Prima di tutto, la verità: «Ciao Giovanni, questo Giro mi sono eccitata e ti ho tradito».

«Ho realizzato il sogno erotico che tu rappresentavi per me: ma con un altro».

«Un 40enne figo/rovinato che quando l’ho conosciuto indossava una fantastica felpa Rosti vintage». Si, ti racconterò tutto.

Poi, per non pensare troppo a lui, ho chattato moltissimo con il mio professore di sociologia dello sport alla Sorbona. Sembra che il Giro d’Italia adesso ecciti anche lui, e credo che accetterà di presentare la mia tesi sul ciclismo “come mitologia meccanica primitiva rifunzionalizzata mediaticamente per il nuovo medioevo automatizzato”.

«Però Sophie devi trovare un titolo più glamour» mi ha scritto.

Antipaticamente, mi ha mandato “questioni da sviluppare” come:

«I ciclisti sono un target di patetici tecnologici?».

«Vogliono sempre vedere una sfida tra un Ettore e un Achille > Squalo vs Robot?». 

«La maglia rosa = rosa dei romanzi d’amore d’altri tempi, dove vincono sempre i sentimenti più veri, più puri, più nobili e coraggiosi».

«Il Giro è un cuore a molla ricaricato ogni anno passando in posti cult per il target, con situazioni memory che fanno partire il film di giornata, che è sempre un film d’amore, è sempre una vittoria del cuore».

Io sinceramente non lo so, Giovanni, se il rosa del Giro è proprio quello del cuore. Vero che è una mitologia nostalgica e sentimentale. Ma la storia di Coppi e della dama bianca, per esempio, che non conoscevo, è molto più di un cuore a molla. E così molte altre vicende epiche che effettivamente sembrano rivivere nelle nuove edizioni, con nuovi protagonisti. 

In questo scenario, sto anche rivalutando “il patetico”, il gregario innamorato che “questo Giro mi serve per buttare il cuore nelle ortiche” e ogni sera mi manda un vocale o una mail di aggiornamento sul suo giro interiore. 

Domenica sera, da Como, “il patetico” mi ha mandato una mail quasi porno, in realtà psico-porno, dove ricostruisce questa sua storia di sentimenti e di sesso come una cronaca di tappa durissima, con un gran premio della montagna dopo l’altro, e un muro finale. Sono quasi tentata di proporre al prof. il titolo “Il ciclismo come terapia per i disturbi della sfera emotiva”.

«E poi, restando in tema: domenica notte mi sono sognata Cattaneo».

Ok, da capo, con ordine.

martedi e mercoledi, decima e undecima tappa

In italiano antiquato undicesima tappa si dice, o si diceva, undecima. Me lo insegna (docet) un vecchio prete che dovrebbe darmi lezioni di latino (latinorum), in un paesino fuori Bergamo, ma in realtà fuori dal mondo, sulla strada per il maglificio Rosti. 

Dopo il latino dal prete, ho la parrucchiera di paese, dove ritrovo la mia amica estetista. Guardiamo la tappa insieme, con commenti tecnici interessanti come:

«Che sguardo ha Cassani!». Cassani è il commissario tecnico dell’Italia. 

Ti attira con la voce suadente, lo guardi, e buca il video.

«Cassani usa il mascara».

«No, è soltanto un eyliner».

«No, è il karsha».

Spiegazione: polvere nera di roccia nera del deserto, che usano i tuareg per stimolare la lacrimazione, e impedire che il sole rinsecchisca le pupille. L’effetto è quello di aver sempre gli occhi umidi, luminosi, lucenti. 

Intanto seguiamo queste ultime tappe per velocisti, ultime chance per Viviani, non sfruttate. 

Su Viviani e il VAR mi dice cose interessanti questo 40enne figo-rovinato e semi-palestrato che ho conosciuto verso sera, rientrando a Bergamo passando per i colli. Lui arrancava con una scatto fisso sul pavé che sale a S. Sebastiano, in tenuta Rosti vintage. Probabilmente gli ho salvato la vita offrendogli la mia borraccia. 

«E ti confesso, Giovanni, che mi sono eccitata nel vederlo bere».

Beveva avidamente e mi guardava. Parlando per porno-categorie, lui vedeva in me l’hashtag teen-college. E forse attraverso le microfibre del mio body intravedeva anche la sotto categoria small tits. 

Io in lui vedevo il tipico maschio-dilf, cioè daddy I like to fuck, l’equivalente della milf. Gli chiedo che giro sta facendo, mi dice di essere un fotografo milanese con 2 ex mogli e 3 figli. 

«Mi sto allenando per una gara speciale».

«In fuga dalle mie ex mogli».

A quel punto gli ho fatto una battuta sul VAR. E lui ha detto qualcosa che mi ha colpito.

«Elia è stato rovinato dal VAR. Ha perso la fiducia un pezzo alla volta. Prima ha perso la fiducia nella giuria, poi nei compagni, infine in sé stesso».

«Il VAR è peggio dell’inquisizione».

«La sacra inquisizione ti costringeva a confessare la tua colpa, il VAR ti manda al rogo direttamente».

«Fanno fede le immagini!».

Spiegamelo meglio, gli dico. E poi, non so come, succede. 

Un attimo prima mi stava dicendo: «Il calcio è uno sport basato sulle finte».

Nel fotogramma successivo mi stava baciando.

«Rivediamoci domani».

«Le cose importanti sul VAR non te le ho ancora dette».

Vedremo. La sera mi arriva un messaggio dal “patetico”, con uno spunto interessante:

Nel tuo punto di forza, c’è anche il tuo punto di debolezza. 

Il mio punto di forza è la capacità amatoriale. Sarà perché sono un introverso passionale, fare l’amore è la mia vera expertise, la mia top skill, come si dice nei curricula.

Ma ci sono donne che, dal momento che dai loro l’appagamento sessuale, non desiderano altro da te. Non ti rompono, non ti asfissiano, non vogliono dormire con te. Il massimo che ti possono dare in cambio dei vagoni, dei convogli di passione che riversi in loro, è il loro stesso appagamento sessuale, e questa è la tua vera sudditanza e la tua unica missione. 

E qui interrompo, perché si perde nelle solite banalità, come: vedere una donna che prova piacere, è il piacere sublime.

E anche cose che non capisco bene sulla metodica zen del non venire mai, o del venire prolungato/continuato, siamo all’emancipazione dell’orgasmo dal coito, il livello ultimo della tecnica del differire. Fine pena: mai.   

Questa emancipazione dell’orgasmo dal coito non mi è chiarissima. Giovanni, tu sapresti darmi lumi?

giovedì, duodecima tappa

Si comincia. Arrivano le salite. L’essenza, l’anima, la storia del Giro. 

Bambini a casa, a letto, inizia il film per adulti, il film vero, la prova vera per uomini veri.

Vanno in fuga in 25 con un vantaggio di 15 minuti.

A 15km dall’arrivo, al traguardo volante Cavour, in testa ci sono 8 assaltatori: Brambilla, Capecchi, Caruso, Cataldo, Montagutti, Benedetti, l’irlandese Dunbar e lo sloveno Polanc.

Hanno 12 minuti e 3km di vantaggio sul gruppo Roglic/Nibali, “il gruppo dei migliori”.

A 10km Cataldo viene sacrificato e “comandato” ad aspettare Landa, che con Lopez, Boaro e Sutterlin è partito dal gruppo per ridurre il distacco.

Ultima curva, scatta Brambilla, ma Benedetti spinge un rapporto superiore, e incredibilmente vince. Il sogno del gregario! 

Sei felice Benedetti?

«Si, beh... Ormai ho 32 anni, per me non cambia molto».

L’opinionista tv: «Benedetti non è un vincente, ma oggi ha meritato di vincere».

Poi intervistano Cataldo. Anche lui avrebbe potuto vincere, ma ha avuto ordini di scuderia diversi. Ha dovuto rinunciare alla gloria personale per aiutare il suo capitano, ma è tranquillissimo. Vita da gregario! 

Benedetti e Cataldo, canto e controcanto dello stesso messaggio.

«Stai al tuo posto, non esaltarti quando ti lasciano vincere e non deprimerti quando ti ordinano di non provarci».

Capisci, Sophie, mi dice il mio professore, a chi è rivolto in realtà il messaggio? 

Ai lavoratori, a quelli che mandano avanti le aziende in religioso silenzio, operai, impiegati...

Intanto, nuova maglia rosa è lo sloveno Polanc, dietro di lui Roglic, poi Nibali. 

Con due sloveni primo e secondo nella generale, è impossibile non pensare all’indagine Anderlass e a tutte le dichiarazioni sulla Slovenia come nuova frontiera del doping.

Sulla Gazzetta un ex compagno di Roglic, un corridore olandese, col tono di chi parla con cognizione di causa, dice che “la crescita di Roglic non è normale, in pochissimi anni ha fatto passi da gigante”, e lascia intendere che ci sarebbero motivi per considerare quantomeno sospetto questo improvviso boom prestazionale. 

Verso sera rivedo il dilf 40enne. Viene fuori che è un ex calciatore.

«Ti sei mai chiesta perché certi allenamenti sono interdetti alla stampa, al pubblico e soprattutto alle telecamere? Perché provano a simulare i falli, come inciampare nell’avversario, come cadere facendo immaginare una spinta, come far scattare la testa in seguito a una gomitata».

«Fingere di colpire il pallone, fingere un movimento per sbilanciare, ingannare l’avversario. 

Nessuna ripresa potrà smascherare un fallo simulato perfettamente, a meno di avere dei sensori nei corpi dei calciatori... ».

Il mio professore, qualche ora più tardi, a seguito del mio report mi scrive: «a un certo punto gli italiani hanno capito che si poteva diventare vincenti, e battere l’avversario pur essendo inferiori tecnicamente, tatticamente e anche atleticamente,  sviluppando la capacità di ingannare l’arbitro. E dunque in primis difensori espertissimi nel fermare scorrettamente gli avversari in modo apparentemente corretto, e attaccanti contropiedisti bravissimi nel farsi sgambettare facendo dribbling ad hoc in area».

«Gli italiani adesso sono i primi a specializzarsi nel calcio VAR, dove un occhio automa si sostituisce all’occhio human, e stabilisce una verità indiscutibile, vera. Ma il vero messaggio è un altro. La sospensione drammatica dell’evento, l’insicurezza di quei due o tre minuti nei quali il VAR come una divinità onnipotente stabilisce cosa è vero e cosa no. E tutta la massa in religiosa attesa del verdetto, come nell’antica Roma».

«Non dimentichiamo che il calcio, e in generale tutto lo sport/business, non è fine a è stesso, ma al servizio e all’avanguardia di un sistema sociale preciso, il turbocapitalismo spettacolare che seduce e domina con la videocrazia, il potere dell’occhio elettronico e del cervello artificiale...».

«Questo è l’aspetto paradossale! Duemila anni di progresso filosofico e scientifico e siamo tornati ai cavernicoli di Platone che credevano alle ombre proiettate dal fuoco sulle pareti della caverna: nel nostro home theatre, sui nostri schermi al plasma,  ci lasciamo convincere che le immagini proiettate dallo stregone siano la realtà!».

«Capisci Sophie?».

«Quel che oggi inculcano col calcio, e in ogni sport, domani diventerà pratica di controllo sociale totale, ti licenzieranno col VAR, ti toglieranno l’affido dei figli col VAR... ».

venerdi, tappa decimoterza

Primo arrivo in salita, a oltre 2000 mt di altitudine. 

Ultimo km, e il russo Zakarin porta a termine con successo la sua fuga, vince con 35 sec su Nieve, 1.20 su Landa. Polanc a 4.20 mantiene la rosa. Nibali e Roglic insieme a 3 min. Duello di nervi tra i due. Ti sto addosso, è il messaggio.

Siamo in pieno sviluppo del tema storico dei due rivali, la “coppia antagonista”.

Scambi messaggi con il mio professore sul tema della “guerra psicologica” o “di nervi”: 

«Nibali vs Roglic: quale messaggio mediatico passa per la massa?».

«L’antagonismo, la lotta tra due, la riproposizione del duello tra due tipologie opposte di campioni, canone base della mitologia del Giro; e cito ad esempio Coppi e Bartali; Merckx e Gimondi; Saronni e Moser».

«si, va bene, ma qual è il format dell’antagonismo 2019?».

«Lo scontro, la sfida tra l’umano e l’automa. Nibali è l’umano, Roglic l’automa. Nibali è bio, è lo Squalo; Roglic è tech, è il Robot».

«Messaggio subliminale per l’inconscio di massa?».

«Che l’umano deve fare cosa sovrumane e innaturali per competere con le cose che l’automa fa naturalmente!».

«Brava Sophie! Il futuro sarà sempre più automa e sempre meno umano, nello sport, nel lavoro, in ogni cosa».

«Per l’umano, anche vincere sarà comunque perdere, sarà l’ultima vittoria umana, il futuro è segnato. L’automazione arriverà anche nei sentimenti. Prepariamoci all’epoca dei sentimenti automatici, capaci di non fare errori!».

«Ma ci siamo già, se ci pensi. I social network sono lo strumento di controllo della vita, del privato, dei pensieri, della coscienza della massa. I social sono l’auto-sorveglianza di massa che permette a un algoritmo, o a chi lo controlla, di disegnare le occasioni e i cambiamenti delle nostre vite, come nell’antica Grecia facevano gli Dei dall’altro del monte Olimpo, si divertivano a mettere alla prova gli umani... e gli umani rincorrevano amori e avventure senza accorgersi di essere burattini manovrati...».

La mail del “patetico” che trovo nella posta in piena notte, sfiora lo stesso tema, e 

Non ho nessuna intenzione di esaurirmi sui social per spiare, immaginare, dedurre la sua vita psicologica, affettiva, erotica... So benissimo che l’unica cosa da fare quando sei nelle mie condizioni è stare completamente fuori dai social, come dalle droghe pesanti; è impossibile fare un uso sano dei social quando sei innamorato marcio, non voglio ridurmi come in passato a fare le notti sulla sua bacheca... 

Niente chiamate, niente messaggi per tutta la durata del Giro, questo è l’accordo, e non ho dubbi che lei lo rispetterà, e anche io credo di farcela.

L’unica cosa che faccio, che mi permetto di fare, due tre volte ogni sera, è cliccare sulla sua icona whatsapp, e non ti dico la gioia quando vedo la dicitura on line, davvero, ed è strano, è strano e bello, perché prima invece quando la vedevo on line ero geloso, con chi starà chattando, perché, che cosa si diranno, e invece adesso quando vedo che è on line sono felice e basta, perché quella piccola scritta che lampeggia significa che lei esiste, è viva... Ma dopo mezz’ora guardo di nuovo, è ancora on line, e allora mi arriva l’angoscia, la lontananza da me, e sento tutta la sua assenza...

sabato, tappa decimoquarta

Poco meno di 30 Km all’arrivo: Ciccone in testa, in fuga, è inseguito e raggiunto dal “gruppo dei migliori”, con Nibali, Roglic, Carapaz, Caruso, Lopez, Sivakov.  Maglia rosa a 3 min.

Nibali allunga Roglic impassibile a ruota. Roglic maglia rosa virtuale

Poi scatta Carapaz, equadoregno, scalatore puro. Affronta il GPM a 85 pedalate al minuto e km dopo km accumula vantaggio, mentre dietro fanno calcoli.

A 3km Carapaz passa a Courmayer a 80km/h. All’ultimo km è maglia rosa virtuale, con la maglia rosa a 7.30 min, e gli inseguitori a 1.30-50. 

Vince e indossa la rosa per pochi secondi su Roglic.

Il duello Nibali-Roglic sempre più è il romanzo di questo Giro. Carapaz ha fatto una sua impresa, ma sembra anche lui un terzo incomodo, anche se più temibile di Conti e Polanc.

Nibali non ne parla, parla delle sue relazioni di coppia, con il compagno e con l’avversario: «Damiano è andato come una moto, stavolta Roglic ha collaborato a differenza dei giorni passati».

Invece, parlando di ADV, cioè advertising, cioè pubblicità, il Giro è rimasto un duello Kittel-Dumoulin, due assenti. Kittel continua a imperversare sulla Gazzetta e anche negli spot tv della Rai con il suo slogan “Combatti per i tuoi capelli”. Dumoulin si è ritirato settimana sorsa, dopo la caduta causata da Puccio, ma continua a essere il testimonial di una simpatica ADV-cartoon per il marchio Shimano, che ha come core business il gruppo cambio, e certo con questa ADV non si dimostra un cambio rapido, ma bloccato, così come Kittel che di fatto comunica che combattendo per i capelli si cade in depressione, perché è questo l’effetto che fa. E allora la mia domanda, professore, è: che senso hanno queste ADV con il testimonial assente? Pubblicità controproducente, autolesionista? 

«Sophie, limitati a trascrivere una sequenza di slogan, e troverai una risposta».

Ok, ci provo.

Per chi ha tutto sotto controllo, Suzuki Vitara.

Ci sono cose che non possiamo controllare, altre invece sì: Alpecin, combatti per i tuoi capelli.

Non hai più scuse, Prostamol.

Prima, durante e dopo lo sport, barrette Enervit.

Alla fine l’unico testimonial credibile, presente al Giro e non solo negli spot, è l’ipnotico Cassani, il commissario tecnico nazionale, che consiglia a tutti le barrette proteiche. 

domenica, tappa decimoquinta

Ivrea-Como, 233 km, gli ultimi 100 gli stessi del Giro di Lombardia.

Dopo 15 km gatton gattoni vanno in fuga Cat-Cat, Cattaneo e Cataldo. 

A 150 km hanno 12 minuti. A 70 km hanno ancora 10 min sul gruppo.

Si va al GPM della Madonna del Ghisallo, luogo sacro del ciclismo con tanto di museo e cimeli Coppi e Bartali. Il mitico Cattaneo rompe il cambio, e con calma cambia la bici, come niente.

Tv cronista: «Questa fuga pazza forse va all’arrivo».

Poi: «Nibali attendista, forse sta facendo lavorare troppo Caruso».

Poi: «Oggi Cataldo è libero di andare a vincere».

Infatti a 25km il gruppo si ferma a tirare il fiato. 

«Chi tirerà adesso?».

Garzelli: «tutti vogliono gestire le forze per il Ciniglio, l’ultima salita». 

La coppia Cat-Cat è in fuga da 200 km. Sul web intanto leggo una dichiarazione di Roglic: 

«Preferisco avere la maglia rosa a Verona». Sempre più simpatico, penso.

E poi gli succede di tutto: fora, prende la bici del compagno, poi prende slancio dalla borraccia passata dall’ammiraglia, poi si incazza con la macchina del presidente di giuria che lo frena in una curva. Poi dovrà ricambiare bici per prenderne una della sua misura per affrontare la salita finale, e tutto questo in una strada molto stretta e tortuosa, e con la moto del giudice che lo insegue, forse per dargli una multa, o anche dei secondi di penalità per la borraccia propulsiva. Ora il gruppo non lo aspetta. Ma forzando, Roglic-Robot rientra.  

Ai 10km la coppia Cat-Cat è ancora unita, ma adesso prima o poi diventeranno nemici, la sinergia evolverà in duello finale. Hanno 2,30 sul gruppo, dal quale scatta Yates «alla sua maniera». Gli lasciano 100mt. Vado io, vai tu, andiamo noi, andate voi. 

Intanto Roglic con la bici non sua non molla, si schianta contro il guard-rail, riparte.

Finalmente parte Nibali, per la prima volta senza nessuno alla ruota.

«Il primo morso dello Squalo». 

Sul lungolago di Como, ultimo km, Cat-Cat sono sempre insieme, si girano insieme. Nessuno li riprenderà. Fase di studio, cambia il format, adesso devono spararsi. 

Ultima curva, parte Cataldo, resiste sul ritorno di Cattaneo, e vince. 

Nibali e Carapaz a 12sec, Landa e Lopez a 35, Roglic a 51. In classifica Carapaz in rosa con 47 su Roglic e 1.47 su Nibali.

Roglic-robot è stato più coraggioso di un umano: foratura, bici sbagliata, resistenza, discesa, caduta, ripartenza, danni contenuti in 40 sec.

Cataldo ha oggi quello cui ha rinunciato Giovedì, il meritato premio dopo il sacrificio: 

«Non ci credo. Sognavo questa tappa. Avevo passato due giornate terribili. Stato male, anche stanotte. Stamattina non sapevo come fare. Ma le gambe rispondevano bene. Siamo andati molto d’accordo con Mattia, grande corridore».

«Un premio per tutti i sacrifici, lo diceva anche Benedetti, una giornata così un gregario la sogna tutta la vita. Qui, a Como, sul Lombardia, magnifico!».

Mattia Cattaneo: «Provato ad attaccarlo sulla salita, visto che non riuscivo a staccarlo, allora provato in volata, ma ne aveva di più lui».

«Una super azione sia per me che per lui. Io son contento».

Il modo in cui Cattaneo ha detto queste semplici frasi, mi è piaciuto. L’espressione, la voce. 

Per questo stanotte l’ho sognato? O perché sono tre giorni che non vedo il mio dilf?

O forse è tutta colpa del “patetico”, e della sua corsa interiore, anche questa durissima: e qui si vede come il romanzo rosa da un momento all’altro possa diventare un film a luci rosse.

Lei si presenta sempre freddissima, la voce atona, lo sguardo spento, la pelle secca, i gesti contratti. Funerea, irraggiungibile, intoccabile. Senza guardarmi inizia la sua litania, sembra che reciti un mantra, e faticosamente, con parole stremate, che arrivano da lontano. Dice cose come: io non ti amo. Non voglio darti più spazio nella mia vita. Non voglio stare con te. Non ci dobbiamo più vedere. Non sono innamorata di te. Non dobbiamo più fare l’amore. Devi dimenticarmi. Hai capito? Lo capisci? Me lo chiede col tono di una maestra che si rivolge a un bambino con problemi d’apprendimento. 

Io dico si, sussurro si. Guardami, dice lei. Io la guardo e i suoi occhi che un attimo prima erano biglie di ferro, si incendiano, e sono tizzoni ardenti. Un assetato fuori controllo: l’attiro a me, la stringo, la bacio, e mi scoppia il cuore. Facciamo l’amore selvaggiamente, rapidamente, senza un domani. Quando smettiamo di ansimare, quando i battiti del cuore tornano normali, allora ricominciamo, lo rifacciamo, ma questa volta dolcemente, silenziosamente, con calma, senza fretta. Prima l’inferno, adesso il paradiso terrestre. 

A volte poi ci addormentiamo, ma solo per pochi minuti. Poi preparo da mangiare, beviamo, scherziamo. Poi lo facciamo ancora, e ancora. 

Non si ferma mai da me. Se ne va assegnandomi due compiti: non cercarla, non chiamarla.

Adesso sono un uomo impegnato. Non la chiamo, non la cerco, e penso a lei giorno e notte. 

Non esistono giorni di riposo, quando pensi a una donna.  

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