terza settimana

person Pubblicato da: Sophie list In: Blog Ultimo aggiornamento: comment Commento: 0 favorite Visualizzazioni: 1656

GIRO D'ITALIA 2019 - by Sophie

«Ciao Giovanni, come titolo della mia tesi pensavo: Il senso Rosti di questo Giro».

Però mi piace anche: Il senso di Rosti per il Giro. Più chic, forse anche più preciso.

La mia ricerca/analisi è un focus sui 5 sensi vincenti Rosti e i 7 momenti leggenda Rosti alla luce dei 3 macro-messaggi che questo Giro ha diffuso a livello planetario.

Il primo capitolo inizierà così: «il senso vincente di Rosti per il Giro è nell’istantanea di Masnada che conquista la cima Coppi e con la compostezza di un antico cavaliere si chiude la zip dello smanicato prima di lanciarsi a cannone in discesa». 

L’ultimo capitolo inizierà così: «Dalla sfida tra l’uomo e l’automa, emerge una nuova figura, che ottimizza entrambe le configurazioni. La parola chiave per definire questa nuova configurazione era sotto i nostri occhi fin dall’inizio del Giro: Hybrid, l’auto-motive del Giro, Toyota Hybrid. Lo ribadisce anche Suzuki, sponsor della Federazione Ciclistica, d’amore e d’accordo con Toyota: Think Hybrid. Il futuro è nell’ibrido».

Il mio professore è gasatissimo. 

Maliziosamente, mi consiglia di mandare questo report non a te, ma alle multinazionali, perché il brand Rosti, secondo lui, ha delle potenzialità che soltanto un grande gruppo saprebbe sfruttare. Secondo me, invece, è soltanto geloso, o invidioso. Voi uomini da gara avete sempre questi problemi da galletto nel pollaio. 

A proposito, ho mollato il dilf. Si stava montando la testa.  E senti il “patetico” (ma stavo pensando di ribattezzarlo “gregario in amore”) cosa mi manda:

Io ho sempre sentito che c’era qualcuno, oltre a me, nella sua vita. 

Un altro uomo? Una donna? Un amore mai finito? Mai iniziato? Un fantasma? 

Che cosa la stravolge così profondamente, con periodica puntualità?  Mi chiedevo: che cosa la porta da un giorno all’altro a cambiare pensieri, parole, sguardi, scelte e intenzioni così profondamente, in modo talmente sconcertante da farmi pensare più volte: chi sei, chi sei veramente, quella di ieri sera, o quella di stasera?

Martedì, tappa decimosesta

L’amore fa il suo Giro, e la settimana decisiva inizia con il nuovo sfidante Carapaz che dopo aver studiato bene lo slogan del Giro (“amore infinito”) si presenta alla partenza dicendo cose ultra-pop d’altri tempi come: «Mando un messaggio d’amore al mio popolo». 

Tutto l’Ecuador è con lui. Da bambino Carapaz doveva badare alle capre. Ha iniziato a pedalare con una bici trovata in una discarica. Oggi è un campione, e in lui si proiettano i sogni dei ragazzini di tutte le periferie del mondo.

«Il Giro comincia oggi» ribatte Nibali, con la frase mantra di questo Giro. Che in effetti un senso ce l’ha: ogni giorno può essere un nuovo inizio, una nuova sfida. 

E Roglic? Il robot ha dovuto stringere i denti come un umano, tra forature, cadute e altri colpi della malasorte. Eppure Nibali dice: «Roglic corre da calcolatore». 

Cioè: noi siamo di un’altra pasta, noi non vinciamo facendo calcoli, ma gettando il cuore oltre l’ostacolo. Da questo momento, l’antagonismo non è più Nibali/umano vs Roglic/automa. 

La nuova sfida, la nuova coppia di icone/valori è Nibali/campione vs Carapaz/emergente.

Lovere-Ponte di Legno è la tappa clou per questa nuova sfida. Non c’è il Gavia, ma c’è il Mortirolo che già nel nome è un programma, con zero tornanti in 5km e pendenze del 18%. 

Prime rampe e davanti restano in 5: Ciccone, Masnada, Caruso, Nieve e Hirt. 

Dietro Pozzovivo si mette a tirare il gruppo alla morte per fare selezione, e il gruppo va a pezzi. Quando rimangono in pochi intimi, parte lo Squalo, e lo spagnolo Ventoso, che non è nella sua squadra, gli passa una borraccia, e fa rivivere una delle icone mitiche del Giro, la borraccia Coppi/Bartali. Roglic comincia a perdere terreno.

Dalla cabina tv, tocca a Bettiol dire la frase-mantra: «Il Giro comincia adesso».

Davanti rimangono Hirt, Ciccone e Caruso.  Da un tornante all’altro cambia tutto, si entra nelle nuvole e nel sottobosco di altissimi abeti si fa notte, è buio, piove, c’è una scarica che è quasi grandine, l’asfalto viscido. Al passo è notte fonda, diluvia e fa freddo. I fari delle moto fanno luce ai corridori.

Ciccone si aggiudica il gpm, poi butta via la mantellina che non riesce a infilare, e si pente subito, in discesa congelerà. Uno spettatore gli passa un giornale, lui lo prende e se lo infila sotto la maglia mentre un addetto Astana fa uno scatto notevole per dare la mantellina a Lopez. Bilbao, che non ce la fa più dal freddo, addirittura si ferma, per mettere la mantellina.

Scene amatoriali, che rendono sensato il commento di Garzelli: «In modo molto intelligente Nibali mette la mantellina». Carapaz invece la indosserà solo a fine discesa, e al rovescio.

Il Mortirolo ha remixato le dinamiche di coppia: il tandem Hirt e Ciccone si invola, il duo Lopez e Bilbao insegue, i duellanti Nibali/Carapaz si controllano a vicenda e lo scoppiato Roglic non ha più coppia nel motore 

Genovesi: «il problema dei robot è quando si rompono».

Garzelli: «Io aspetterei a darlo per morto». E infatti poi Roglic recupera nella discesa.

A Vezza d’Oglio, “la perla della Valcamonica”, Ciccone finalmente trova qualcosa da mettersi, un corpetto. Ha le labbra blu, la faccia ibernata, trema, e da come guarda Hirt si capisce che il loro matrimonio è finito. Negli occhi di Ciccone c’è tutto il disprezzo dei divorziandi verso l’ex coniuge. Hirritato! 

Comincia il duello per la vittoria tra Ciccone e Hirt, entrambi mezzi congelati.

Telecamere fisse, il momento della verità. Ciccone parte a cannone, non molla, vince e getta per aria gli occhiali (ma allora è una mania).

Subito gli chiedono di spiegare il litigio con la mantellina.

«Aveva le maniche troppo strette, con i guanti bagnati non riuscivo a infilarla». 

Intanto arriva Masnada, terzo, con la sua bella mantellina Rosti.

Ma incredibile è quello che è successo al nostro Vuillermoz AG2R: ha un attacco d’asma all’inizio del Mortirolo, scivola giù da un prato, viene tirato su e soccorso dai sanitari con i broncodilatatori. Dovrebbe attendere l’effetto del farmaco, cioè fermarsi, cioè ritirarsi. 

«Piuttosto muoio», dice e riparte. Ha un altro attacco, si riferma, riparte e arriva al traguardo, e non tra gli ultimi. Mitico.

Sullo stesso tema, il crollo, l’eventualità di ritirarsi, c’è anche la testimonianza del “patetico”, decisamente anti-eroica.

Sì, oggi crollerò, a un certo punto mollerò, mi ritirerò, è sicuro, non posso farcela. Ho passato la notte in bianco, e già mentre firmavo il foglio di partenza oggi sentivo le gambe molli, e pensavo: sei un idiota, un idiota e un codardo.

La notte in bianco con lo smartphone in mano, un idiota, una sofferenza, una tristezza vergognosa, alla mia età, una via crucis inseguendo i cuori rossi che tu metti ad emeriti coglioni, a foto volgari, banali, a frasi cretine, tu che con me sei sempre così drammatica, superiore, aurea, e a me un cuore rosso non l’hai mai messo. Si può, mi chiedo, essere così coglioni, e farsi fottere da un algoritmo, perché la colpa è dell’algoritmo, è l’algoritmo che mi dice con assoluta malizia “persone che potresti conoscere”, e con sotto la sua piccola icona, e la dicitura “amicizie in comune”, e allora tu vai a vedere, vedi questi cuoricini quotidiani, e un coltello arrugginito ti sguazza nel fegato, e passi la notte così. 

Comincia la tappa e continuo a pensare a lei e alle sue amicizie, e passano quasi due ore prima che mi renda conto che in realtà sto andando molto bene, sto pedalando senza fatica. Ma è anche vero che il crollo può arrivare improvviso.

Mercoledì, tappa decimosettima

Val di sole - Anterselva, 181 km.  Al passo della Mendola parte la fuga.

A 100km gruppo dei 18 in fuga con 6min di vantaggio, tra questi ci sono i Rosti in rosso Masnada e Vendrame e il giovane Peters in blue/ciel e brun/terre AG2R. Dei fuggitivi l’unico uomo da classifica è Formolo, 12esimo a 12 min. C’è anche Jungels in cerca di riscatto.

Telecronista: «Non ricordo un Giro come questo, dove la fuga va spesso in porto».

Garzelli: «Forse dovrebbero preoccuparsi di Formolo». 

A 70 km a Bressanone hanno 7min, Bakelants ci prova in solitaria, guadagna 1min.

Bakelants due anni fa al Giro è uscito da una curva in discesa, è volato nel precipizio e si è rotto 7 costole. Ha fatto 5 interventi chirurgici, è stato 7 mesi a letto, e oggi torna alla ribalta.

A 50 km il gruppo cambia ritmo. Garzelli: «troppo tardi».

I 18 si frantumano, riprendono Bakelants e si riaggregano compatti.

A 15km in un tratto in salita il nostro Peters AG2R scatta secco come una fucilata.

Garzelli: «Ha guardato in faccia i compagni di fuga, ha visto grande stanchezza, ha scelto il momento. Ha grande potenza, e una pedalata rotonda».

10 km finali in salita, gli inseguitori litigano tra loro, Peters tira dritto.

Ai 3km Conti non ce la fa, Masnada in progressione recupera, Chaves accelera, ormai tutti sgranati, anche Formolo rinviene, ma Peters è sempre più convinto. 

Ultimo km nel percorso dello sci di fondo, poi Peters si presenta nello stadio del biathlon con la lingua fuori e una gioia pura negli occhi, le braccia al cielo, è la sua prima vittoria da professionista. 

Ai microfoni, dice: «Mi sono guardato intorno, mi sono detto con uno sforzo posso farcela».

In questa frase apparentemente banale di Peters, secondo il mio professore, c’è un messaggio motivazionale ad altissimo potenziale.

A questo punto Giovanni devo aprirti una parentesi, e riportarti in sintesi l’analisi/studio sui messaggi del Giro. La prima settimana il messaggio era: in amore vince chi sa fare i calcoli. 

La seconda settimana: in amore vince chi morde e fugge.

La terza settimana, il verdetto: «Vince chi vola più alto, ha più fame ed è più rapace».

Morale: l’amore fa il suo Giro, e nella sfida tra l’elettro Robot e il termico Nibali prevale un nuovo propulsore, l’ibrido Carapaz, come abbiamo detto, un po’ condor un po’ locomotiva.

«Ma questo Giro ha anche un altro messaggio, forse più importante».

Nessuno dei big ha scritto una pagina memorabile. Si sono giocati la vittoria finale in modalità controllo. Le imprese eroiche sono state compiute da ignoti gregari e giovani poco noti. 

Ecco il messaggio, la novità: le pagine mitiche di questo Giro non sono firmate dai superman, ma da comprimari come Benedetti, Cataldo, Cima, o da giovani come Ciccone, Masnada e Peters, o da redivivi come Chaves e Chad Haga. E ognuno di questi porta alla ribalta una sua mitologia in purezza, una sua storia autentica, umana. Crederci, provarci. E farcela. Le fughe alla morte senza speranza, questo Giro, hanno spesso avuto lieto fine. 

«Rosti esce vincente in tutti questi messaggi».

Giovedì, tappa decimottava 

Tappa piatta per velocisti, Conti non parte, si ritira causa nodulo del ciclista. 

Dopo 50 km vanno in fuga Maestri, Cima e il nostro Denz in maglia Rosti.

Viaggiano in sintonia per tutta la tappa. A 20km hanno ancora  2.30 minuti, mentre il gruppo vola a 60km/h per andare a prenderli. A 10km il gap è ridotto a 1min.

Nel gruppo Demare e Ackermann si preparano per la sfida finale alla maglia ciclamino.

Ma i tre inaspettatamente non mollano. E il nostro Denz sembra quello più carico.

A 5km il gruppo “vede” i fuggitivi, che hanno ancora 45sec.

Il momento di scommettere. A 3km i nostri eroi rallentano, si studiano, ma così potrebbero farsi raggiungere. Ultimo km, e solo 15sec sul gruppo che parte a cannone. Non si può più aspettare. Parte per primo Denz, poi parte Maestri, e alla fine parte Cima, mentre alle loro spalle il gruppo sta per inghiottirli come uno tsunami. 

E mentre i due compagni di fuga sono fagocitati dal gruppo, Cima miracolosamente e spettacolarmente riesce a passare sul traguardo mezzo metro prima di essere divorato dal lanciatissimo Ackermann e da tutti i superman della volata.

Maestri: «Rammarico, oltre il danno la beffa. Piuttosto che ci prenda il gruppo, faccio terzo, ho pensato, e sono partito: ma non ho fatto neanche quello».

Cima: «Il sogno di una vita di qualsiasi ragazzo che inizia ad andare in bici».

Cassani: «Cima come Masnada si è fatto 6 anni di élite prima di passare professionista».

E anche questo è un messaggio. 

Ma il messaggio più bello, ed è sempre un messaggio del genere “mai mollare, continuare a crederci”, lo colgo Giovedì sera, nella sala civica di Grignano-Brembate, a duecento metri dal maglificio Rosti, dove 5 archeologi hanno convocato la cittadinanza per svelare i risultati del misterioso scavo cui stanno lavorando da 5 anni.

E quella che comunicano al paese di Brembate, e a tutta la comunità scientifica, è una scoperta di grande rilevanza, che nessuno si aspettava. Scavando in questo campo adiacente via delle Industrie, tra il maglificio Rosti e la Bayer, hanno trovato i resti di un villaggio longobardo del VII secolo d.C. con tombe di guerrieri. Niente di nuovo. 

Continuando a scavare, sotto il villaggio longobardo hanno trovato il villaggio romano del I secolo a.C. con strade lastricate ed edifici in muratura. Interessante, ma niente di nuovo.

Hanno continuato a scavare, e sotto il villaggio romano hanno trovato un villaggio celtico del XV sec a.C., con capanne, strade, tombe e pietre molari, segno di attività artigianali. 

Questa è la scoperta davvero unica, che fa dire alla grande archeologa: «Da 50 anni lo cercavo, sapevo che da qualche parte c’era, e adesso l’abbiamo trovato». 

Questo villaggio celtico di Brembate “cambierà la preistoria lombarda”, e ti prego di non ridere Giovanni, avresti dovuto vedere la passione e la grinta di questa nonna-luminare. 

XV secolo a.C. significa che 3500 anni fa qui dove oggi c’è la produzione Rosti c’erano già degli Homo Rostiens con il loro capannone e la loro produzione. 

3500 anni vuol dire piramidi d’Egitto, guerra di Troia, giardini di Babilonia. Si, possiamo parlare di tradizione manifatturiera di lunga data, radicata nel territorio!

«Come farai adesso a festeggiare i 40 anni del maglificio Rosti?».

Venerdì, tappa decimonona

Treviso-San Martino di Castrozza, dopo pochi km scattano in12 in fuga, con i nostri Vendrame e Bidard. Arrivano ad avere un vantaggio di quasi 10min. Provano a involarsi in solitaria Boaro, poi Canola. A 10km hanno ancora 8 min sul gruppo maglia rosa.

A 8km davanti ci sono Vendrame, Chaves, Bidard e Serry.

A 7km parte il colibrì Chaves, ma Bidard e Vendrame lo stoppano.

A 6km Chaves riparte e lo riprendono. A 5km stessa scena, a 4km idem.

Vendrame ha più potenza, si vede, si sente, va su come un Dio, e allora gli Dei si divertono a ostacolarlo, gli fanno scendere la catena nel momento climax, e deve scendere dalla bici come un comune mortale e sporcarsi le mani. Riparte come una furia per fare l’impresa impossibile, e ancora una volta gli Dei gli fanno saltare la catena. 

E così Chaves al 7° tentativo riesce a distaccare gli inseguitori, e arriva in solitaria sul traguardo dove lo aspettano mamma e papà in lacrime. A 10 sec. l’eroico Vendrame che poi crolla sdraiato sull’asfalto.

Chaves: «Bisogna crederci, lavorare, non mollare mai, ma non solo nel ciclismo, ma nella vita, bisogna sempre spingere, spingere, spingere».

Mi sembra anche questo un messaggio piuttosto Rosti.

«Ok, Giovanni, a volte mi sembra di averti in telepatia, so cosa vuoi».

Ti riporto qui in sintesi i 5 sensi vincenti Rosti di questo Giro. 

• in senso sportivo: per le due vittorie di tappa, con due diverse squadre, più la cima Coppi e i giorni in maglia bianca; 

• in senso mediatico: per la visibilità logo Rosti nelle fughe e nelle imprese, sia Androni che AG2R; 

• in senso mitologico: per i 7 momenti-leggenda Rosti, con 3 episodi eroico/Ettore (l’eroico Cattaneo, l’eroico Vendrame e l’eroico Denz) + 3 episodi eroico/Achille (le vittorie di tappa di Masnada e Peters e la cima Coppi) + l’episodio mitico di Villermeuz che in crisi d’asma, invitato a fermarsi, dice al medico: “piuttosto muoio”; 

• in senso marketing/pubblicità, perché tra gente con problemi di mantellina e corridori che vincono a torso nudo, l’immagine di Masnada che conquista la cima Coppi e si chiude la zip prima di lanciarsi nella discesa è uno spot naturale perfetto;

• in senso semiotico, perché sia il messaggio maglia rosa (l’outsider-affamato) che il messaggio “gregari coraggiosi capaci di imprese epiche”, sono messaggi che parlano la lingua Rosti.

Ci sarebbe anche il sesto senso, il senso tecnologico Rosti, perché questo Giro ha sancito a livello world tour il grande apprezzamento per il brand delle diverse tribù professionalmente coinvolte nel prodotto: atleti, tester, utilizzatori, ricercatori/sviluppatori di tessuti tecnici, designer. E anche antropologi, filosofi, psicologi ed etologi che con diversi approcci si occupano del tema ethos/mithos del mantello magico, delle sue funzioni fisiche, epidermiche, psico-somatiche e dell’effetto psico-sociale sugli altri. 

C’è un brano del “patetico” che può servire a spiegare l’importanza psicho-tech di abbigliamento e accessori: 

Comincia la tappa, comincio a pedalare, con tutte le mie 10 protezioni.

La protezione1 (P1) è il gruppo, pedalare in gruppo, con la maglia della mia squadra (P2 e P3), e nelle tasche dorsali la mantellina (P4) e le barrette energetiche (P5).  

Sulla bici (P6) le borracce (P7) e in testa il casco (P8) e gli auricolari (P9) e soprattutto gli occhiali da sole avvolgenti (P10). Con tutte queste protezioni posso pedalare in mezzo alla folla e alle telecamere mobili, fisse e aeree ed essere intoccabile, ed essere altrove, e soprattutto posso pensare a sangue, lucidamente, e morire dentro, senza che nessuno se ne renda conto. Servono anche a questo le protezioni, non solo all’isolamento/protezione del corpo, ma proprio di te come persona.

Sabato, tappa vigesima

Il giorno del destino per i 4 guerrieri che puntano alla vittoria, poi resteranno solo la cronometro e i calcoli. Subito in 12 in attacco, e Masnada in solitaria verso la cima Coppi.

«Giovanni, ti propongo di chiamarla cima Rosti».

L’istantanea di Masnada alto in sella e lo sguardo avanti che conquista solitario la cima Coppi, la vetta più alta del Giro, e si chiude la zip dello smanicato Rosti con gesto virile e sicuro di antico cavaliere che abbassa il cimiero prima di lanciarsi a cannone in discesa, non ha prezzo. 

A 100km sono di nuovo tutti insieme: Masnada , i 4 magliarosandi e altri 10 audaci a coppie miste, di squadra, di nazionalità, ci sono i due baschi Bilbao e Nieve, 

Nibali mangia barrette, Carapaz si mangia una banana.

Garzelli: «Oggi bruceranno solo zuccheri, grassi non ne hanno più».

15 km all’arrivo, sono ancora tutti lì. 

«Il pulcino dell’Ecuador sta diventando un condor».

«Sarà una lotta tra il Rog-Robot, lo Squalo-Nib, il Condor-Paz e Superman Lopez».

Poi la tappa è falsata da due idioti del pubblico: primo un idiota che spinge Roglic, poi un secondo idiota fa cadere Lopez. Insieme all’idiota che giorni fa ha buttato una bici in mezzo alla strada, il podio degli idioti è completato.

A 3km lo Squalo-Nib e il Condor-paz... parlano! Ultimo km parte Landa, ma vince Bilbao, che era in fuga dal km1.

Bilbao, hai passato momenti difficili?: «Si, l’allergia».

Per tutti gli altri invece i momenti difficili iniziano adesso: tempo massimo 1h, e molti faranno fatica. Per tutti quei gregari che non sono andati oltre il compitino, sarebbe un fallimento.

Garzelli ha detto: «oggi la crisi può venire a chiunque».

A tarda sera arriva la testimonianza del “patetico”.

Passare tra le due ali di una folla isterica, che si sbraccia e ti grida addosso con inaudita violenza, e cerca di prenderti, mentre tu con insopportabile lentezza sei trascinato avanti, le mani legate, verso la ghigliottina...  è questo il mio incubo, la mia ultima tappa, la scena di un film visto da bambino, un film in costume, il mio Terrore, la paura di non farcela, e lasciarmi cadere a terra in mezzo a questa orribile massa di estranei invasati…

Domenica, tappa vigesima prima.

Si, vigesima vuol dire ventesima in italiano arcaico, è l’ultima tappa, la crono-Verona. 

Come previsto non succede quasi niente, tutti i messaggi chiave confermati. 

La storia epica di giornata è la faccia di Chad Haga, che vince la crono, e torna a sorridere e a piangere di gioia dopo una via crucis infinita (pedalava in allenamento quando è stato investito, travolto, sfigurato, quasi ucciso da una nonna al volante).

La storia triste del “patetico” ha un finale che non mi aspettavo:

Non ti riconosco, mi sembri un automa. Cosa hai fatto oggi? Chi hai incontrato?

Mi sono torturato per mesi pensando che avessi un altro.

Poi ho scoperto che sei in analisi da dieci anni. E mi sono reso conto di recitare mio malgrado in un film diretto non da te, non da me, non da Dio, non dal caso, ma da un estraneo prezzolato, il tuo psicanalista.

Questo film non finirà mai. Io ormai faccio parte dei problemi che ti fidelizzano a lui come paziente a tempo indeterminato. Della nostra storia in sé ti importa poco, sei più interessata a capire in che misura rientra nella tua storia clinica. 

C’è una parola che mi colpisce in questo report del “patetico”, quando dice: mi sembri un automa. L’automa, abbiamo visto, si muove da sé, ma sotto il controllo del suo creatore, che ha il potere di spegnerlo, accenderlo, resettarlo. La vera differenza tra l’umano e l’automa è nell’autocoscienza, da cui nasce la volontà. E allora mi sorge una domanda.

«La persona in analisi è un automa controllato dall’analista?».

Risposta del mio professore: no, la persona in analisi non è un automa, è un ibrido, un corpo umano con intelligenza emotiva artificiale, ricostruita, programmata, gestita da un tecnico esterno. Lo psicanalista è un programmatore che assembla e ricostruisce come automi esseri umani andati a pezzi. Il risultato è un semovente controllabile, che agisce e pensa in funzione del suo analista, dell’appuntamento con lui, seguendo il programma di lavoro stabilito, come un automa-operaio che lavora nella fabbriche automatizzate. E quale sarebbe il lavoro che questo umano/automa dovrebbe svolgere seguendo le indicazioni del suo creatore/analista? 

Risposta: «Vivere».

«Non amare?». 

«No, amare non è per tutti». 

La promessa di amore infinito si, quella è per tutti, ma la maglia rosa è solo per uno, perché è così che l’amore fa il suo Giro. A volte ti sfiora, si ferma, ma poi ti sfugge.

Sono 20 giorni che non la vedo e non la sento. Ma il peggio non è questo. Il peggio è che finito il Giro la vedrò. Faremo l’amore, e sarà bellissimo. E il giorno dopo averla vista, il giorno dopo aver fatto l’amore, ecco, quello sarà il momento in cui non vivrò più. The day after. Chi è passato per le droghe pesanti mi può capire. Non c’è droga più pesante dell’amore. Dovrebbero scriverlo sui Baci Perugina, per legge. 

Attenzione! L’amore fa male. Smetti di amare! Parlane col tuo medico.

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